Letteratura

La prima opera di letteratura ispirata al Vajont è «Vajont» di Giuseppe di Ragogna, uscito già nel 1964 (F.lli Cosarini ed., Pordenone) con il titolo «Belvedere sulla diga» riproposto nel 2001 da Biblioteca dell’Immagine di Pordenone con la presentazione di Mauro Corona, lo scrittore-scultore ertano. Un libro, quello di di Ragogna, ispirato alla pietas cristiana, che mette al centro l’inutilità della sfida tecnica alla natura. Una analoga ispirazione permea il romanzo di Carlo Sgorlon “L’ultima valle». L’incontaminata secolare sacralità di una valle alpina popolata da streghe e folletti, anguane e mataròi, salvàn, belavanz, mari de not e Dei celtici, oltre a uomini affaticati ma in simbiosi con la dura natura e amministrati da leggi tebane che sono forse il loro peccato originale, viene sconvolta dai vessilliferi del progresso, intenti a costruire una diga, vano monumento allo smisurato orgoglio umano. Ma la natura sfidata si vendica e l’orcul, altri protagonista mitico, in sembianza di frana e di onda, distrugge i dissacratori e i loro sogni di gloria insieme a tremila vite umane, forse immolati a un dio sanguinario per essersi fatti abbacinare dalle illusioni del progresso. I superstiti vissero infelici e scontenti. La natura riconquista poco per volta la valle. Un mito che più volte ritorna in altri libri e racconti: alla fine non si capisce chi e perché, se non forse un antico dio celtico, provocò quella strage. Tant’è: a Sgorlon interessa piuttosto interrogarsi sul senso della vita e sulla assurda coesistenza di Dio e dell’oceano di dolore immanente all’uomo. Un appello accorato, quasi tolstojano, a ritrovare l’armonia perduta, a riappacificarsi con le leggi inviolabili della natura, in una visionaria ricostruzione di un regno perduto. Al confine tra cronaca, ricostruzione e letteratura è «Stramalora» di A. G. Cibotto (Marsilio, 1982). Il Vajont diventa una discesa agli inferi, descritta con allucinata indignazione da un testimone che perde la cognizione del tempo e dello spazio. La risalita è ardua, e si rivela alla fine impossibile come per tutti coloro che sono stati colpiti dalla «malattia del Vajont». Il Vajont resterà per sempre impresso in modo indelebile nel profondo dell’anima. Dal male e dall’orrore assoluti nemmeno l’amore riscatta e guarisce. All’amore e alla bellezza Cibotto si aggrappa per sopravvivere, ma ormai il Vajont gli ha svelato il lato irrimediabilmente brutale della vita, e anche l’amore si rivela corrotto. Diverso è l’approccio di Armando Gervasoni, giornalista del Gazzettino che, prima del disastro, tentò senza riuscirvi di vedere pubblicati i suoi articoli. Pubblicò poco prima di morire in un incidente «Le ombre di Erto e Casso» (Giordano, Milano 1967), ripreso poi in «Il Vajont e le responsabilità dei manager» (Bramante, Milano 1969). Postumo, è uscito il libro che Gervasoni aveva scritto ancor prima del disastro, “I corvi di Erto e Casso” (Il Segno dei Gabrielli editori, Verona 2012). Un romanzo incentrato sulla vicenda del Vajont è “Storia di un lago e di una montagna” di Gianluca Casagrande (Stango ed., Roma 2001), nel quale un giovane laureando in ingegneria lavora con orgoglio alla costruzione della diga più alta del mondo, ma la sua fede assoluta nel progresso tecnologico si incrina di fronte all’inaspettata realtà.