Chi percorra oggi la valle del Piave, dalle sorgenti alla pianura fino alle foci, non vede più il fiume sacro alla Patria per avere con le sue onde impetuose sbaragliato il nemico. Un letto asciutto, erboso in prossimità delle sponde, arborato nel mezzo è tutto ciò che si offre allo sguardo. Tutt’al più, si potrà vedere in qualche tratto un rigagnolo d’acqua farsi strada faticosamente tra sabbie e ciottoli. Ma il Piave non ha cambiato corso, né si è prosciugato. E’ semplicemente scomparso. Trattenuto nella parte alta dagli sbarramenti, scorre dentro chilometri di tubature, si arresta in bacini di raccolta, si perde negli obsoleti canali di irrigazione della pianura. L’innalzamento del letto dei fiume, l’abbassamento delle falde pedemontane, la continua erosione della costa sono gli effetti dello sfruttamento indiscriminato delle acque, con i pericoli derivati al dissesto idrogeologico (a Belluno nel 1998 si è rischiata l’esondazione) e il disagio economico prodotto dal degrado paesaggistico e ambientale che non aiuta certo una provincia a forte vocazione turistica. Il Piave e diventato così per l’Associazione culturale “Tina Merlin” il simbolo di uno sviluppo inteso come crescita illimitata, come sfruttamento indiscriminato di beni irriproducibili, così che intorno al Piave essa ha orientato dal 1997 la sua battaglia. E poiché quel modello di sviluppo si è affermato proprio con la catastrofe del Vajont, ecco che anche il recupero e la costruzione della memoria di quell’evento è diventato un preciso impegno culturale e politico dell’Associazione. Oggi, l’area su cui giacciono 1260 milioni di metri cubi di roccia che si staccarono la sera dei 9 ottobre 1963 dal monte Toc e che sollevarono l’immane ondata che spazzò via cinque paesi e duemila vite umane, è stata destinata ad uso industriale. Vi si è costruito un salumificio. Macello di uomini, macello di bestie. La proposta dell’Associazione è invece quella di dichiarare la zona area di interesse nazionale e di costruirvi un memorial con percorsi didattici, spazi espositivi, sale di conferenza, che ospiti un centro di studi e di osservazione permanente di verifica sulla qualità dello sviluppo. Un paese civile e responsabile, non può più ignorare i costi ambientali e sociali della propria crescita, non può non porsi il problema dello “sviluppo dei limiti”. Tale fu nel 1999 il titolo del convegno internazionale promosso a Belluno dall’Associazione. L’ottobre del 2000 abbiamo continuato sul tema della memoria, quale patrimonio culturale di una nazione, e del futuro. Vi sono convenuti storici, scrittori, opinionisti della carta stampata, rappresentanti delle associazioni, politici. Ma soprattutto, ed è il nostro orgoglio, è stato un appello di uomini e donne che hanno deciso di prendersi cura della vita vera.
Adriana Lotto, Belluno 2005.